volta bevuto, disse maestro Raimondo: Deh, signor Nerino, raccontate un poco a questi parenti nostri una qualche novelluzza da ridere. Il povero giovane Nerino, non sapendo che Genobbia fusse moglie di maestro Raimondo, cominciò raccontargli l’istoria: riservando però il nome di ciascuno. Avenne che uno servente andò in camera dove Genobbia dimorava, e dissele: Madonna, se voi foste in un cantone nascosta, voi sentireste raccontare la più bella novella che mai udiste alla vita vostra; venete, vi prego. Ed andatasene in un cantone, conobbe che la voce era di Nerino suo amante, e che l’istoria, ch’egli raccontava, a lei perteneva. E da donna prudente e saggia tolse il diamante che Nerino donato li aveva, e poselo in una tazza d’argento piena d’una delicata bevanda, e disse al servente: Prendi questa tazza, e recala a Nerino, e digli che egli la beva, che poi meglio ragionerà. Il servente, presa la tazza, portolla alla mensa; e volendo Nerino bere, disse il servente: Pigliate questa tazza, signore, che poi meglio ragionarete. Ed egli, presa la tazza, beve tutto il vino; e veduto e conosciuto il diamante che vi era dentro, lo lasciò andare in bocca; e fingendo di nettarsi la bocca, lo trasse fuori, e se lo mise in dito. Ed accortosi Nerino che la bella donna di cui ragionava era moglie di maestro Raimondo, più oltre passare non volse; e stimolato da maestro Raimondo e da i parenti che l’istoria cominciata seguisse, egli rispose: Eh sì, eh sì! cantò il gallo, e subito fu dì; e dal sonno risvegliato, altro più non udì. Questo udendo e parenti di maestro Raimondo, e prima credendo che tutto quello che Nerino gli aveva detto della moglie esser vero, trattorono l’uno e l’altro da grandissimi embriachi. Dopo alquanti giorni Nerino trovò maestro Raimondo; e fingendo di