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giorno seguente, il re comandò che in mezzo della piazza fusse un grandissimo fuoco acceso; indi ordinò che la madre e le due sorelle e la comare in presenza de tutto il popolo fussero senza compassione alcuna abbruggiate. Ed il re poi con la cara moglie e con gli amorevoli figliuoli lungo tempo visse; e maritata la figliuola onorevolmente, lasciò li figliuoli del regno unichi eredi.

Finita la favola da Lodovica raccontata, e molto alle donne piaciuta, la Signora le comandò che all’ordine andasse dietro. Ed ella senza indugio il suo enimma propose, così dicendo:

Sovra il superbo monte di Ghiraldo,
     Cinto di forte siepe d’ogn’intorno,
Un vidi star con occhio di ribaldo,
     Quando più scalda il sol del tauro il corno.
La spoglia ha di finissimo smiraldo;
     Ragiona, ride e piange tutto il giorno.
Il tutto detto v’ho, restami il nome;
     Vorrei saper da voi com’ei si nome.

Vari furono gl’intelletti sopra il proposto enimma, nè fu alcuno ch’aggiungesse al desiato segno, se non la piacevole Isabella; la quale tutta allegra con giocondo viso disse: L’enimma di Lodovica altro non vuol significare se non il papagallo che sta nella gabbia chiusa di ferri, che è la siepe, ed è verde come lo smiraldo, e tutto il giorno ragiona. Udita la ingegnosa interpretazione de l’oscuro enimma, e da tutti sommamente comendata, Lodovica, che si persuadeva che niun’altra sapesse risolverlo, si ammutì. Ma poscia che ella depose il vermiglio colore, si volse verso Isabella, a cui il luoco della quarta favola toccava, e disse: Isabella, mi doglio, non già