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stuta e prudentissima era, animosamente giurò che niuno di peccato l’aveva tocca, se non il suo marito e quel pazzo che v’era presente. Giurato che ebbe Filenia, i ministri della giustizia la condussero al serpe: al quale presentata la mano di Filenia in bocca, non le fece nocumento alcuno; perciò che aveva confessato il vero, che niuno altro di peccato, se non il marito ed il pazzo, tocca l’aveva. Veduto questo, il popolo ed i parenti, che erano venuti a vedere l’orrendo spettacolo, innocentissima la giudicorono, e gridavano che messer Erminione tal morte meritava, quale la donna patire doveva. Ma per che egli era nobile e di gran parentado e dei maggiori della città, non volse il podestà, come la giustizia permetteva, che fusse pubblicamente arso; ma pur, per non mancare del debito suo, lo condannò in una pregione: dove in breve spazio di tempo se ne morì. E così miseramente finì messer Erminione la sua rabbiosa gelosia, e la giovane da ignominiosa morte si disviluppò. Dopo non molti giorni Ippolito presala per sua legittima moglie, seco molti anni felicemente visse.
Finita la favola dalla prudente Vicenza raccontata ed alle donne molto piaciuta, la Signora le impose che l’ordine dello enimma seguisse. La quale, alzato il piacevole e polito viso, in vece di canzone così disse.
Con sviscerato amor speme e desio
Nasce una fiera macra e scolorita;
E ’n un bel volto mansueto e pio,
Com’ellera si serpe a tronco ordita.
Si pasce di cordoglio acerbo e rio;
E va di panno brun sempre vestita.
Vive in affanno e cresce nel dolore;
Miser chi cade in un sì grande errore.