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punto che ella si maritò in colui che era distruttore della sua persona, aspettò l’opportuno tempo che ella s’addormentasse. E quando li parve che ella era nel suo primo sonno, egli uscì dell’arca, ed al letto si avicinò; e disse: Destati, anima mia, che io sono il tuo Ippolito. Ed ella destata vedendolo e conoscendolo, perciò che era il lume acceso, volse gridare. Ma il giovane, messa la mano alla sua bocca, non la lasciò gridare; ma quasi lagrimando disse: Taci, cuor mio; non vedi tu ch’io sono Ippolito, amante tuo fedele, che senza di te il viver mi è noioso? Achetata alquanto la bella donna, e considerata la qualità del vecchio Erminione e del giovane Ippolito, di tal atto non rimase scontenta; ma tutta quella notte giacque con esso lui in amorosi ragionamenti, biasmando gli atti ed i gesti del pecorone marito, e dando ordine di potersi alcuna volta ritrovare insieme. Venuto il giorno, il giovane si rinchiuse nell’arca; e la notte se ne usciva fuori a suo piacere, e giaceva con esso lei. Erano già passati molti e molti giorni, quando messer Erminione, sì per lo incomodo che pativa, sì anche per la rabbiosa gelosia che di continovo lo cruciava, assettò le differenze di quel luogo, e ritornossi a casa. Il servente d’Ippolito, che inteso aveva la venuta di messer Erminione, non stette molto che se n’andò a lui, e per nome del suo patrone chieseli l’arca: la quale, secondo l’ordine tra loro dato, graziosamente da lui li fu restituita; ed egli, preso un bastaggio, a casa se la recò. Uscito Ippolito de l’arca, andò verso piazza, dove s’imbattè in messer Erminione; ed abbraciatisi insieme, del ricevuto servigio come meglio puote e seppe cortesemente lo ringraziò: offerendoli e sè e le cose sue sempre a’ suoi comandi paratissime. Ora avenne che, standosi messer Erminione nel