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zione di non voler rispondere, io mi sforzerò a più potere di far sì che egli parli. Ed andatosi insieme col re alla prigione del Satiro, gli recò ben da mangiare e meglio da bere; e dissegli: Mangia, Chiappino — perciò che così gli aveva imposto nome; — ed egli lo guatava, e non rispondeva. — Deh, parla, Chiappino, ti prego; e dimmi se quel cappone ti piace, e quel vino ti diletta. Ed egli pur taceva. Vedendo Costanzo l’ostinata voglia, disse: Tu non mi vuoi rispondere, Chiappino; tu veramente fai il tuo peggio, perciò che io ti farò morire in prigione da fame e da sete. Egli lo guatava con occhio torto. Disse allora Costanzo: Rispondemi, Chiappino; che se tu, come spero, meco parlerai, io ti prometto di cotesto luoco liberarti. Chiappino, che attentamente ascoltava il tutto, intesa la liberazione, disse: E che vuoi tu da me? — Hai tu ben mangiato, e bevuto secondo il voler tuo? disse Costanzo. — Sì, rispose Chiappino. — Ma dimmi, ti prego per cortesia, disse Costanzo; che avevi tu, che ridevi quando noi eravamo per strada e vedevamo un fanciullo morto alla sepoltura portare? A cui rispose Chiappino: Io me ne risi, non del morto fanciullo, ma del padre, di cui il morto non era figliuolo, che piangeva, e del prete, di cui egli era figliuolo, che cantava. Il che significò che la madre del morto fanciullo era adultera del prete. — Più oltre io vorrei intendere da te, Chiappino mio, qual cagione ti mosse a maggior riso, quando noi ci giungessimo alla piazza? — Io mi mossi al riso, rispose Chiappino, che mille ladroni, che hanno rubbato migliaia di fiorini al publico e meritano mille forche, si stavano a guatare in piazza un miserello che era alla forca condotto, ed aveva solamente involato dieci fiorini per sostentamento forse e di sè e della famiglia sua. — Appresso