Costanzo al cospetto del re e della reina e delle sue damigelle, appresentoli lo Satiro; il quale, se per a dietro rise, ora furono sì grandi le risa sue, che tutti, che ivi erano presenti, ne presero non picciola maraviglia. Vedendo il re che Costanzo aveva adempiuto il desiderio suo, tanta affezione li pose, quanta mai ebbe patrone a servitore alcuno; ma ben doglia sopra doglia alla reina crebbe, la quale, con sue parole credendo distruggere Costanzo, il puose in stato maggiore. E non potendo la scelerata sofferire il tanto bene che di lui ne vedeva riuscire, s’imaginò un nuovo inganno: il qual fu questo; perciò che ella sapeva che ’l re era consueto andarsene ogni mattina alla pregione dove il Satiro dimorava, e per suo trastullo il tentava che egli parlasse; ma il re non ebbe mai tanta forza di farlo parlare. Onde, andatasene al re, disse: Monsignor lo re, più e più volte siete andato all’albergo del Satiro, e vi siete affaticato per farlo ragionare con esso voi per prenderne trastullo; nè mai la bestia ha voluto favellare. Che volete più star a rompervi il cervello? Sapiate, se Costanzo vorrà, tenete per certo che gli è sofficiente a farlo ragionare e rispondere, sì come meglio li parerà. Il che intendendo, il re immantinente fece Costanzo a sè venire; ed appresentatosi, gli disse: Costanzo, io mi rendo certo che tu sai quanto piacere ne prenda del Satiro da te preso; ma mi doglio che egli mutolo sia e non vogli alle dimande mie in modo alcuno rispondere. Se tu vorrai, sì come io intendo, fare il debito tuo, non dubito che egli parlerà. — Signor mio, rispose Costanzo, se lo Satiro è mutolo, che ne posso io? Darli la loquela, non è ufficio umano, ma divino. Ma se l’impedimento della lingua procedesse non da vizio naturale overo accidentale, ma da dura ostina-