botte la vernaccia, ponendola nel doglio ivi vicino; e preso il pane, e fattolo in pezzi, parimenti nel doglio di vernaccia pieno lo pose. Indi salì sopra una ben frondata arbore, aspettando quello che ne poteva avenire. Appena che ’l giovane Costanzo era asceso sopra de l’albero, che gli Satiri, che già avevano sentito l’odore del fumoso vino, cominciorono appresentarsi al doglio, e ne tolsero una corpacciata, non altrimenti che fanno i famelici lupi nelle mandre delle pecorelle venuti; e poscia che ebbero empiuto la loro ventraglia, e furono a bastanza satolli, si misero a dormire: e sì alta e profondamente dormivano, che tutti gli streppiti del mondo non gli arebbono allora destati. Il che vedendo, Costanzo scese giù dell’albero; ed accostatosi ad uno, lo legò per le mani e per li piedi con una fune che seco recata aveva: e senza esser d’alcuno sentito, lo pose sopra il cavallo, e via lo condusse. Cavalcando adunque il giovane Costanzo con il Satiro strettamente legato, all’ora del vespro aggiunse ad una villa non molto lontano dalla città; ed avendo il bestione già padita la ebbriezza, si risvegliò: e come se dal letto si levasse, cominciò sbadagliare; e guatandosi d’intorno, vide un padre di famiglia che con molta turba accompagnava un fanciulletto morto alla sepoltura. Egli piangeva, e messere lo prete, che le essequie faceva, cantava. Di che lo Satiro se ne sorrise alquanto. Poscia entrato nella città, ed aggiunto nella piazza, vide il popolo che attentamente mirava un povero giovane ch’era sopra la forca per esser dal carnefice impiccato. Di che lo Satiro maggiormente se ne rise. E giunto che fu al palazzo, ogn’un cominciò far segno di allegrezza, e gridare: Costanzo! Costanzo! Il che vedendo, l’animale vie più fortemente mandò fuori le risa. E pervenuto