quella fede ed amore che servire si dee. Il re, a cui molto piaceva l’aspetto del giovanetto, disse: Già che tu porti il nome della mia città, io voglio che tu stie nella mia corte, niun’altra cosa facendo che attendere alla persona mia. Il giovane, che altra cosa non desiderava maggiore, primieramente ringraziò il re; e dopo accettollo per signore, offerendosi in tutto quello, che per lui si potesse, parato. Essendo adunque Costanzo in forma d’uomo a gli servigi del re, con tanta leggiadria lo serviva, che ogn’uno, che lo vedeva, attonito e stupefatto rimaneva. La reina, che di Costanzo gli elegantissimi gesti, le laudevoli maniere e prudentissimi costumi veniva considerando, più attentamente cominciò riguardarlo: e del suo amore sì caldamente s’accese, che ad altro che a lui dì e notte non pensava; e con dolci ed amorosi sguardi sì fieramente lo balestrava, che non che lui, ma ogni dura pietra e saldo diamante intenerito avrebbe. In cotal guisa adunque amando la reina Costanzo, niuna altra cosa tanto desiderava, quanto di ritrovarsi con esso lui. E venuto un giorno il convenevole tempo di ragionar seco, l’addimandò se a lei servire gli fusse a grado; perciò che, servendola, oltre il guidardone ch’egli riceverebbe, non solamente da tutta la corte ben veduto sarebbe, ma anche appreciato e sommamente riverito. Costanzo, avedutosi che le parole che uscivano dalla bocca della reina procedevano non da buon zelo ch’ella avesse, ma da affezione amorosa, e considerando che per esser donna non poteva saziare la sua sfrenata ed ingorda voglia, con chiaro viso umilmente così rispose: Madama, tanta è la servitù che io ho col signor mio e marito vostro, che mi parrebbe far a lui grandissima villania, quando io mi scostassi dalla