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ed a gli precetti vostri, volete sì bassamente in matrimonio copulare? Laonde conchiudendo dico che mai io non sono per prender marito, se io, come l’altre tre sorelle, non avrò un re convenevole alla persona mia. E preso commiato dal re e dalla reina, non senza loro profondissimo sparger di lagrime, e montata sopra uno potente cavallo, sola di Tebe si partì; e prese il cammino verso quella parte, dove la fortuna la guidava. Cavalcando adunque Costanza alla ventura, mutossi il nome, e di Costanza, Costanzo si fece chiamare; e passati diversi monti, laghi e stagni, vide molti paesi, ed udì vari linguaggi, e considerò le loro maniere ed i costumi de’ popoli, li quali la loro vita non come uomini, ma come bestie guidavano. E finalmente un giorno nell’ora del tramontar del sole giunse ad una celebre e famosa città, chiamata Costanza, la quale allora signoreggiava Cacco re della Bettinia, ed era capo della provincia. Ed entratovi dentro, cominciò contemplare gli superbi palazzi, le dritte e spaziose strade, i correnti e larghi fiumi, i limpidi e chiari fonti; ed approssimatosi alla piazza, vide l’ampio ed alto palazzo del re, le cui colonne erano di finissimi marmi, porfidi e serpentini: ed alzati gli occhi alquanto in su, vide il re che stava sopra un verone che tutta la piazza signoreggiava; e trattosi il cappello di capo, riverentemente lo salutò. Il re, vedendo il giovanetto sì leggiadro e vago, il fece chiamare, e venire alla presenza sua. Giunto che egli fu dinanzi al re, addimandollo donde egli veniva e che nome era il suo. Il giovane con allegra faccia rispose che egli veniva da Tebe, persequitato dalla invidiosa ed instabile fortuna, e che Costanzo era il nome suo: e desiderava volentieri accordarsi con alcuno gentiluomo da bene, servendolo con