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rosata la pose: dandole un odore che a lei grandissimo refrigerio prestava. Indi la rivestì, comandandole espressamente che tacesse e che a niuna persona tal cosa scoprisse, quantunque il padre o la madre fusse. Perciò che voleva che niuna altra donna si trovasse, che a lei in bellezza ed in gentilezza agguagliar si potesse. E addotatala finalmente d’infinite virtù, da lei si partì. Uscita Biancabella del giardino, ritornò a casa; e vedutala la madre sì bella e sì leggiadra, ch’ogn’altra di bellezza e leggiadria avanzava, restò sopra di sè e non sapea che dire. Ma pur la dimandò, come aveva fatto a venire in tanta estremità di bellezza. Ed ella: non sapere, le rispondeva. Tolse allora la madre il pettine per pettinarla e per conciarle le bionde trezze: e perle e preziose gioie le cadevano dal capo; e lavategli le mani, uscivano rose, viole e ridenti fiori di vari colori con tanta soavità de odori, che pareva che ivi fusse il paradiso terreste. Il che vedendo, la madre corse a Lamberico suo marito; e con materna allegrezza li disse: Signor mio, noi abbiamo una figliuola, la più gentile, la più bella e la più leggiadra che mai natura facesse. Ed oltre la divina bellezza e leggiadria che in lei chiaramente si vede, da gli capelli suoi escono perle, gemme ed altre preziosissime gioie: e dalle candide mani, oh cosa ammirabile! vengono rose, viole e d’ogni sorte fiori, che rendono a ciascuno che la mira, soavissimo odore. Il che mai creduto non arrei, se con e propi occhi veduto non l’avesse. Il marito, che per natura era incredulo e non dava sì agevolmente piena fede alle parole della moglie, di ciò se ne rise, e la berteggiava; pur fieramente stimolato da lei, volse vedere che cosa ne riusciva. E fattasi venire la figliuola alla sua presenza, trovò vie più di quello che