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stare in tale presunzione; lo stesso dicasi della notte IX, nella quale però, a la nov. 5, si osserva come la dotta monaca che in forma di cameriera sostiene una difficile disputa coi dottori fiorentini, sia chiamata «una giovane», senz’altro. Trascorro alla notte XI; quivi gli effetti della censura si aggravano sulle novelle 3 e 5. Nella nov. 3, ove si narra della voracità di un frate, l’eroe della novella, di Pomporio monaco qual era dianzi, ora è chiamato Pomponio Comona; il «famoso monasterio» si muta in una «casa molto famosa»; il «padre abbate» si trasforma nel «padrone della casa»; il piattello dell’ingordo, da lui accarezzato col nome di «oratorio di divozione», si tramuta in un «albergo di monizione». Non diverso è il caso della nov. 5: qui fra Bigoccio diventa un «uno» qualsiasi, e il monasterio, «l’ordine»: e della lieve emenda si contentò la censura, così che lasciò indisturbato l’osceno episodio dei getti e dei guanti che si legge in questa stessa novella. Le più gravi di tutte queste alterazioni toccarono però alle novelle 9 e 11 della notte XIII; in fatto le mutilazioni introdottevi per risparmiare monache e preti furono a danno del senso e della chiarezza del racconto.

In tal modo espurgata ci appariscono le edizioni di Venezia, Domenico Farri, 1569 e 15701. A queste corrispondono le seguenti:

  1. È bene osservare che delle edizioni anteriori al 1569 non potei consultare quelle del 1565 e del 1567.