gno paterno succedere non potevano; perciò che la successione solamente alle femine di ragione aspettava. Laonde il Re, veggendosi per sua mala sorte di figliuole privo, ed esser in tale età di non poterne più avere, si ramaricava molto, e infinita passione e cordoglio ne sentiva. E tanto più perchè s’imaginava che dopo la morte sua sarebbeno mal veduti e peggio trattati, e con grandissimo loro scorno del regno miseramente scacciati. E dimorando l’infelice Re in questi dolorosi pensieri, nè sapendo trovar rimedio che sollevar il potesse, voltossi alla Reina, che sommamente amava, e disse; Madama, che debbiam far noi di questi nostri figliuoli, da poi che ogni podestà di lasciarli del regno eredi n’è per la legge e per l’antica usanza apertamente tolta? A cui la prudente Reina all’improviso rispose: Sacra maestà, a me parrebbe che voi, essendo di molti ed infiniti tesori potente, li mandaste altrove, dove conosciuti non fussero, dandogli quantità di gioie e di danari grandissima; che forse, la grazia d’alcun signore trovando, li fiano cari, ed in modo alcuno non patiranno. E quanto pur patisseno, che Iddio nol voglia! almeno non si saprà di cui sono figliuoli. I sono giovini, vaghi d’aspetto, apparenti in vista ed atti ad ogni magnanima ed alta impresa. Nè vi è Re, nè Principe, nè Signore, che per li privilegi dalla natura a lor concessi non gli amino e tenghino cari. Piacque molto a Dalfreno la risposta della sapiente Reina; e chiamati a sè Listico e Lavoretto, li disse: Figliuoli, da noi vostro padre molto diletti, perchè dopo la morte nostra vi è tolta ogni speranza di questo regno, non già per vizio vostro, nè per disonesti costumi, ma perchè così determina la legge e l’antica usanza, per esser voi non femine ma uomini dalla potente natura e da noi prodotti; noi e la ma-