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Ed il Re, venendo al fine della sua vita, del regno suo erede il constituì.
La favola da Cateruzza raccontata più e più volte indusse l’altre donne a lagrimare. Ma poi che conobbero quella aver avuto buono e felice termine, tutte sommamente si rallegrorono, rendendo al Signore quelle grazie che potevano maggiori. La Signora, che già vedeva la favola esser finita, a Cateruzza impose che l’ordine seguisse. La quale non stette a bada, ma lietamente e con buon animo lo suo enimma così incominciò.
Un dietro a un tronco sta, vestito a rosso:
Ed or s’asconde or scopre, ed ha una picca.
Quattro portan correndo un grande e grosso,
E duo pungenti nel gran tronco ficca.
Un ch’è nascosto, vien fuori d’un fosso,
E con gran fretta dietro se gli spicca;
Dieci l’atterran qual pazzo e poltrone:
Questo chi lo indivina è gran barone.
Fu non senza grandissimo piacere di tutta la brigata ascoltato lo arguto enimma da Cateruzza graziosamente raccontato. E quantunque le donne diversamente l’interpretassino, non però fu alcuna di loro che die meglio al segno della vaga Lauretta; la quale sorridendo disse: Lo enimma proposto da questa nostra amorevole sorella, altro non può dimostrare se non il bove salvatico, il quale ha quattro piedi che ’l portano: e vedendo ’l drappo rosso, come pazzo impetuosamente corre a ferirlo: e credendo percuoterlo, ficca i duo pungenti, che sono le duo corna, nell’albero, ed indi non le può trarre. Dopo, il cacciatore, che sta nascosto dentro il fosso, si scopre, e con dieci lo atterra, cioè con dieci dita delle due mani. Cateruzza