esser il vero, il tutto apparecchiava. Ma giunto che egli era alla madre, il pazzo la scherniva e beffava, traendo di bocca la lingua lunga più di un gran sommesso. Aveva questa vedovella la casa sua dirimpetto del palazzo di Luciano Re: il quale aveva una figliuola di anni dieci, molto leggiadretta e bella. Alla quale, per esser unica figliuola, impose il nome suo, e Luciana l’addimandava. Questa, tantosto che sentiva Pietro pazzo dire: madre, conche conchette, secchie secchiette, mastelle mastellette, che Pietro ha preso molto pesce! correva alla finestra, e di ciò pigliava tanto trastullo e solazzio, che alle volte dalle risa si sentiva morire. Il pazzo, che ridere dismisuratamente la vedeva, molto si sdegnava, e con parole non convenevoli la villaneggiava. Ma quanto più il pazzo con villane parole l’oltraggiava, tanto più ella, come e morbidi fanciulli fanno, ne rideva e giuoco n’apprendeva. Continovando adunque Pietro di giorno in giorno la sua pescagione, e sioccamente ripetendo alla madre le sopradette parole, avenne che ’l poverello un giorno prese un grande e grosso pesce, da noi tonno per nome chiamato. Di che egli ne sentì tanta allegrezza, che ’l se n’andava saltolando e gridando per lo lito: Cenerò pur con la mia madre, cenerò pur con la mia madre! — ed andava tai parole più volte replicando. Vedendosi il tonno preso, e non potendo in modo alcuno fuggire, disse a Pietro pazzo: Deh, fratello mio, pregoti per cortesia che vogli di tal prigionia liberarmi e donarmi la vita. Deh, caro fratello, e che vuoi tu far di me? Come mangiato tu mi avrai, qual altro beneficio di me conseguir ne potrai? Ma se tu da morte mi camperai, forse ad alcun tempo agevolmente io ti potrei giovare. Ma il buon Pietro, che aveva più bisogno di mangiare che di parole, voleva pur al