Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 122 — |
di mano, facilmente ucciso l’arrebbe. Partitosi adunque Ghirotto ed abbandonata l’impresa, messer Simplicio se ne uscì del sacco: e così maltrattato a casa se n’andò, parendoli di aver Ghirotto col bastone sempre alle spalle. E messosi in letto, stette molti giorni innanzi che riaver si potesse. Ghirotto fra questo mezzo con la sua Giliola a costo di messer Simplicio avendo ben cenato, se ne andò a riposare. Passati alquanti giorni, la Giliola andando alla fonte vide messer Simplicio che passeggiava nella loggetta della sua casa: e con allegro viso lo salutò, dicendo: Ticco. Ma messer Simplicio che ancor sentiva le battiture per tali parole ricevute, altro non le rispose fuor di questo:
Nè più buon dì, nè più Ticco, nè Tacco,
Donna, che non m’avrai più nel tuo sacco.
Il che udendo, Giliola si tacque, ed arrossita ritornossi a casa. E messer Simplicio, così stranamente trattato, mutò pensiero; ed alla moglie, che quasi in odio aveva, con maggior cura ed amorevolezza attese, odiando le altrui, acciò che più non gli avenisse ciò che per lo adietro avenuto gli era.
Già era finita la favola da Vicenza raccontata, quando le donne ad una voce dissero: Se il Trivigiano ha maltrattate le donne con la sua favola, parimente Vicenza con la sua peggiormente ha mal trattato gli uomini, lasciando messer Simplicio per le ricevute busse tutto franto e pisto. E perciò che tutti ridevano, chi l’una cosa e chi l’altra dicendo, la Signora comandò che oramai si mettesse termine alle tante risa, e che Vicenza con lo enimma l’ordine seguisse. La quale, vedendosi quasi vittoriosa dell’ingiuria fatta dal Trivigiano alle donne, in tal guisa il suo enimma incominciò: