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que assai alla compagnia la dotta isposizione dell’oscuro enimma. E perchè oramai era passata gran parte della bugia notte, e i crestuti galli annonziavano lo sopragiungente giorno, la Signora fece cenno a Vicenza, a cui restava l’ultimo favoleggiare della seconda notte, che con qualche piacevole favola la notte terminasse.

Ma ella, tutta dipinta nel viso di vermiglio e natural colore, non già per vergogna che ella avesse, ma per sdegno ed ira della raccontata favola, con tai parole contra il Trivigiano si mosse: Signor Benedetto, io mi credevo che voi foste più piacevole e più parteggiano delle donne di quello che siete; ma, sí come io posso comprendere per la favola recitata da voi, le siete molto contrario. Il che dammi aperto indizio voi essere stato oltraggiato d’alcuna che era men discreta nelle dimande sue. Ma non dovevate per ciò le altre così vilmente biasmare; perciò che, quantunque noi siamo d’una stessa massa fabricate, nientedimeno, come ogni giorno si vede, una è più aveduta e più gentilesca che l’altra. Cessate adunque di più travagliarle; perciò che, se elle vi piglieranno a sdegno, i vostri suoni e canti poco vi valeranno. — Io, rispose il Trivigiano, non fei questo per oltraggiare alcuna, nè per vendicarmi con parole di lei: ma per dare ammaestramento alle altre, che dopo me si mariteranno, di esser più destre e più moderate con e mariti loro. — Ma sia come si voglia, disse la signora Vicenza, poco me ne curo, e meno queste altre donne si pensano. Ma acciò che io non paia col mio silenzio tenere la parte degli uomini ed esser contraria alle donne, intendo di raccontarne una che vi sarà di ammaestramento non picciolo. E fatta la convenevole riverenza, così a dire incominciò: