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reva, pensò quello istesso che ’l pretore imaginato s’aveva. E mosso a sdegno, giurò di tal ingiuria vendicarsi, quando il pretore non la punisse. Il Rettore, venuto il chiaro giorno, mandò per Teodosia, giudicando lei aver fatto ciò per magica arte. Ma Teodosia, che tra sè considerava il tutto ed ottimamente conosceva il pericolo grande, che le poteva avvenire, se ne fuggì ad uno monasterio di donne di santa vita: dove nascosamente dimorò, servendo a Dio tutto il tempo della vita sua con buon cuore. Carlo dopo fu mandato allo assedio di uno castello, e volendo fare maggiori prove di ciò che li convelleva, fu preso come vil topo a trapola; perciò che volendo ascendere le mura del castello e primo mettere lo stendardo del papa sopra li merli, fu colto da una grossa pietra, la quale in tal maniera il fracassò e ruppe, che non puote appena dir sua colpa. E così il malvagio Carlo, come meritato aveva, senza sentire vero frutto del suo amore, la sua vita miseramente finì.

Già Lionora era giunta al termine della favola da lei brevemente raccontata, quando le oneste donne cominciorono alquanto a ridere della sciocchezza di Carlo, il quale, credendosi abbracciare la sua diletta Teodosia, abbracciava e dolcemente basciava le pentole e caldaie; nè meno risero delle sconcie e disordinate battiture che egli ebbe da’ propi servi, i quali lo trattarono molto stranamente. Ma poscia che ebbero riso alquanto, Lionora, senza altro comandamento dalla Signora aspettare, in tal guisa il suo enimma propose.

Una cosa son’io polita e bella,
     E di molta bianchezza ancor non manco;
Or la madre or la figlia mi flagella,
     E pur copro d’ogn’un le spalle, e ’l fianco.