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FAVOLA III.


Carlo d’Arimino ama Teodosia, ed ella non ama lui, perciò che aveva a Dio la verginità promessa; e credendosi Carlo con violenza abbracciarla, in vece di lei abbraccia pentole, caldaie, schidoni e scovigli: e, tutto di nero tinto, da’ propi servi viene fieramente battuto.


La favola, donne mie care, dal Molino arteficiosamente raccontata, mi ha fatto rimovere da quella che mi era nell’animo di dire: e un’altra raccontar vi voglio, la quale, se non m’inganno, non sarà di minor piacere alle donne, che fusse la sua a gli uomini. E quanto più la sua fu lunga e alquanto sconvenevole, tanto più la mia sarà breve e onesta. Dicovi adunque, piacevoli donne, che Carlo d’Arimino, sì come io penso alcuna di voi sapere, fu uomo guerreggievole, dispregiatore d’Iddio, bestemmiatore de’ santi, omicida, bestiale e dedito ad ogni specie di effeminata lussuria. E tanta fu la malignità di lui, e tali e tanti i vizii dell’animo, che non aveva pare. Costui, essendo giovane leggiadro e riguardevole, fortemente s’accese dell’amore d’una giovanetta, figliuola d’una povera vedova; la quale, ancor che avesse bisogno e con la figliuola in gran necessità vivesse, era però di tal condizione, che più tosto si arrebbe lasciata morire da fame, che consentire la figliuola peccasse. La giovane, che Teodosia si chiamava, oltre che era bella e piacevole, era anche onesta, accostumata e di canuti pensieri dotata; e sì era intenta