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favola terza 79

sia causa della mia ruina e perpetua infamia. Ahi, misera me, che aggio fatto io, che debbio essere lacerata e fino al vivo squarciata? E da chi? Da un manigoldo, da un assassino, che meriterebbe mille morti. — Pur, astretta dal marito, gli disse: — Quel temerario e prosontuoso vecchio amico vostro, Anastasio, uomo insensato, lascivo e dissoluto, non è egli venuto l’altra sera a me chiedendomi cose non men disoneste che triste, offerendomi danari e gioie? e perciò che io non gli diedi orecchio nè volsi contentarlo, mi cominciò villaneggiare: dicendomi che io era una trista, e ch’io menava gli uomini in casa, e che io m’impacciava col tal e col tale? Il che udendo, rimasi morta; ma fatto buon coraggio, presi un bastone per batterlo; ed egli, dubitando di quello li poteva avenire, con bel modo scese giú per la scala e si partí. — Il marito, intendendo questo, fu oltre modo dolente; e confortata la moglie, determinò di farli tal scherzo, che sempre si ricordarebbe di lui. Venuto il giorno sequente, il marito della donna ed Anastasio si rincontrorono insieme; ed innanzi che ’l marito dicesse cosa alcuna, Anastasio fece motto di volerli parlare. Ed egli molto volontieri l’ascoltò. Disse adunque Anastasio: — Signor mio, voi sapete quanto e qual sia sempre stato l’amore e benevolenza tra noi, che a quella poco si potrebbe aggiungere. Onde mosso d’ardente zelo dell’onor vostro, determinai dirvi alquante parole: pregandovi tuttavia per l’amor che è tra noi, le teniate ascose, provedendo con maturo giudizio e con ogni celerità alle cose vostre. E per non tenervi sospeso in lungo sermone, dicovi che la moglie vostra è vagheggiata dal tal giovane: ed ella l’ama, e si dà piacere e solazzo con esso lui, con grave scorno di voi e della famiglia vostra. E questo v’affermo per ciò che l’altra sera, che voi eravate fuori della città, io con gli propri occhi il vidi la sera entrare in casa vostra incognito, e la mattina per tempo uscire. — Il marito, udendo questo, s’accese di sdegno, e cominciollo villaneggiare, dicendo: — Ah sciagurato, manigoldo e tristo! non so che mi tenga ch’io non ti prenda per cotesta barba, e che non te la cavi a pelo