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NOTTE OTTAVA

Il biondo e luminoso Apollo, figliuolo del tonante Giove e di Latona, omai s’era partito da noi; e le lucciole, uscite delle cieche e tenebrose caverne, rallegravansi di volare per la oscurità della notte, e quella d’ogni intorno signoreggiavano, quando la signora, venuta nella spaziosa sala con le damigelle, graziosamente ricevette la nobile e orrevol compagnia, che poco inanzi al bel ridotto era arrivata. E veggendo tutti come la sera precedente esser ridotti, comandò gli stromenti che venissero: e poscia ch’ebbero danzato alquanto, venne con l’auro vaso uno servente, e di quello un fanciullo trasse cinque nomi; di quali il primo fu di Eritrea, l’altro di Cateruzza, il terzo di Arianna, il quarto di Alteria: riservato l’ultimo a Lauretta. Ma prima che la festevole Eritrea desse principio alla sua favola, la signora volse che tutte cinque insieme con lor stromenti cantassero una canzone. Le quali con lieti visi e angelichi sembianti in tal maniera incominciorono la lor cantilena.

     Questa fera gentile,
dove soglio trovar sovente unita
ne’ suoi begli occhi la mia morte e vita,
mentre piú allargo alle lagrime il freno
per ritrovar pietà, non pur mercede,
ella poco si cura e ’l duol non crede.
     E nel volto sereno.
per maggior doglia e per peggior mia sorte,
scorgo che ’l ciel m’ha in odio, amore e morte.