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favola quinta 59

ed era molto celebrato per tutto quel paese. L’ultimo veramente, udendo i dolci canti di Filomena, e di quelli grandemente dilettatosi, per oscure valli e folti boschi, per laghi e per solitarie e risonanti selve e luoghi deserti e disabitati, e vestigi e’ canti di quella sempre andava seguitando; e talmente fu preso dalla dolcezza del canto de gli uccelli, che, smenticatosi il camino di ritornare adietro, rimase abitatore di quelle selve: di modo che, stando di continuo per anni dieci in quelle solitudini senza abitazione alcuna, divenne come un uomo selvatico: e per l’assidua e lunga consuetudine di tai luoghi imparando il linguaggio di tutti gli uccelli, gli udiva con gran dilettazione e intendevali, ed era conosciuto come il dio Pane tra i Fauni.

Venendo il giorno di ritornar alla patria, i duo primi si ritrovorono al destinato loco, ed aspettorono il terzo fratello; qual poi che viddero venir tutto peloso e nudo, gli andarono in contra: e per tenerezza d’amore prorompendo in lagrime, l’abbracciorono e basciorono, e vestironlo. E mangiando nell’ostaria, ecco che un uccello volò sopra un albero; e con la sua voce cantando diceva: — Sappiate, o mangiatori, che nel cantone dell’osteria vi è ascoso un gran tesoro, il qual già gran tempo vi è predestinato; andatelo a torre! — e dette queste parole, volò via. Allora il fratello, ch’era venuto ultimamente, manifestò per ordine a gli altri fratelli le parole ch’avea dette l’uccello; ed escavorono il luogo che l’aveva detto, e tolseno il tesoro che vi trovorono. Onde molto allegri ritornorono al padre ricchissimi. Dopo i paterni abbracciamenti e le ricche e sontuose cene, un giorno questo fratello, che ultimo venne, intese un altro uccello che diceva: che nel mare Egeo pel circoito di circa dieci miglia v’è un’isola, che si chiama Chio, nella quale la figliuola d’Apolline vi fabricò un castello di marmo fortissimo, la cui entrata custodisce un serpente, che per la bocca getta fuoco e veleno, e alla soglia di questo castello v’è legato un basilisco. Quivi Aglea, una delle piú graziate donne che sia al mondo, è rinchiusa con tutto il tesoro che l’ha ragunato: ed havvi raccolto infinita quantità di danari.