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favola seconda 17

Castorio, andando un dí doppo vespro per la campagna, come spesso far far si suole, vide Sandro che col curvo aratro la terra volgeva; e vedendolo bello, grasso e rubicondo, con viso allegro disse: — Fratello, non so la causa ch’io sono sí macilente e macro, come tu vedi, e tu sei robicondo e grasso. Io d’ogni tempo mangio dilicati cibi, beo preciosi vini, giaccio in letto quanto mi piace, nulla mi manca, e desidero piú che ogn’altro uomo divenir grasso; e quanto piú mi sforzo di ingrassarmi, tanto piú mi smàgrisco13. Ma tu mangi lo verno e cibi grossi, bevi l’acquatico vino, lievi su la notte a lavorare, nè mai lo state hai di riposo un’ora; e nondimeno sei sí robicondo e grasso, che è un diletto a vederti. Onde desideroso di tal grassezza, ti prego quanto so e posso, che di tal cosa mi faci partecipe, dimostrandomi il modo che tenuto hai in divenir sí grasso; e oltre i cinquanta fiorini d’oro che ora darti voglio, promettoti di guidardonarti di tal maniera, che di me per tutto il tempo della vita tua ti potrai lodare e chiamar contento. — Sandro, che aveva dell’astuto e del giotto ed era di rosso pelo, ricusava insegnarli il modo. Ma pur astretto dalle lunghe preghiere di Castorio e dal desiderio di avere i cinquanta fiorini, accontentò d’insegnargli la via. E lasciato di arare la terra, si pose con lui a sedere; e disse: — Signor Castorio, voi vi maravigliate della grassezza mia e della magrezza vostra, e credete e cibi esser quelli che smagriscono ed ingrassano; ma voi siete in grande errore, perciò che si veggono molti mangiatori e bevitori che non mangiano ma diluviano, nondimeno son sí macri, che paiono lucertole. Ma se voi farete quel che feci io, presto verrete grasso. — E che fatto hai tu? — disse Castorio. Rispose Sandro: — Io già un anno mi fei cavare e testicoli; e dall’ora in qua io sono in questa maniera, che vedete, grasso. — Soggiunse Castorio: — Mi maraviglio che non moresti. — Come morire? — disse Sandro. — Anzi il maestro che me li cavò, me gli trasse con tanta agevolezza e desterità, che quasi non sentii noia alcuna; e dall’ora in qua sono fatte le mie carni come quelle d’un fanciullo, nè mai mi trovai tanto lieto e contento, quanto ora