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212 notte decimaterza


Avenne per aventura che quella notte tre cittadini cesenni erano andati fuori della città per cavare un certo tesoro che trovato avevano, e portarselo a casa. Poi che l’ebbero cavato, volendolo portar nella città, si scontrarono in Lucilio, che sopra la strada giaceva; non però all’ora dormiva, ma stavasi vigilante per trovar il buon dí, sí come ammaestrato l’aveva la madre. A cui il primo delli tre cittadini indi passando disse: — Amico mio, ti sia il buon giorno; — ed ei rispose: — Ne ho uno, — de’ giorni intendendo. Il giovane cittadino conscio del tesoro, interpretando altrimenti le parole di quello che erano dette, pensò che dicesse di sè. Il che non è maraviglia, perciò che è scritto che quelli che sono colpevoli, pensano sempre che in tutte le cose si parli di sè. Passando il secondo, simelmente salutollo, e diègli il buon giorno. Lucilio all’ora replicando disse averne duoi, intendendo di buoni giorni. L’ultimo passando anco egli porse medesimamente il buon giorno a costui. All’ora Lucilio, tutto allegro, levatosi in piedi: — Gli ho tutti tre, — disse, — ed emmi successo prosperamente il mio disegno; — volendo dire ch’egli aveva tre buoni dí. I cittadini, temendo forte che ’l giovane andasse al rettore a manifestarli, chiamatolo a sè, e raccontatogli il caso, lo fecero compagno nel tesoro, dandogli la quarta parte di quello. Il giovane, allegramente tolta la parte sua, n’andò a casa, e diella alla madre sua, dicendole: — Madre, la grazia di Dio è stata con esso meco; perciò che essequendo i vostri comandamenti trovai il buon dí. Togliete questi danari, e servateli per lo viver vostro. — La madre, lieta per gli avuti danari, confortò il figliuolo a star vigilante, acciò che gli avenisseno de gli altri buoni giorni simili a questo. —