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favola quarta 175

accettai il quarto di vitello a quella mandato in dono; ma ecco che per un quarto le mando uno vitello integro: e quella mi abbia per raccomandato. — E mandò il sbirro con la pistola, che per nome suo facesse la sicurtà. Il sbirro subitamente andò al signor Ettore, e consignolli la pistola; la qual letta, il signor subito comandò a’ servi suoi che togliessero il vitello ch’aveva mandato il buffone, e che l’amazzassero. Il sbirro, ch’aveva udito che i servi lo dovessero prendere e uccidere, disnudò la spada che a lato aveva; e quella nuda tenendo in mano, e ravoltosi il mantello atorno il braccio, cominciò gridar con gran voce: — È scritto, nella gran corte regnar grande inganno. Il vitello non torrete voi se non morto e smembrato. State indietro, servi; se non, sarete uccisi. — I circonstanti rimasero stupidi per la novità della cosa, e scoppiarono di ridere. Onde il prigioniere per tal giuoco fu liberato. E però meritamente diceva quel famoso filosofo Diogene, che piú tosto ischifare debbiamo l’invidia degli amici, che le insidie de’ nemici; perchè quelle sono un male aperto, e questa è nascosa: ma è molto piú potente l’inganno che non si teme. —