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favola prima 163


NOVELLA II.

Xenofonte notaio fa testamento, e lascia a Bertuccio suo figliuolo ducati trecento; di quai cento ne spende in un corpo morto, e ducento nella redenzione di Tarquinia, figliuola di Crisippo, re di Novara; la quale infine prende per moglie.

— Dice il commune proverbio, che per far bene non si perde mai. Ed è il vero: sí come avvenne ad un figlio d’un notaio, il qual per giudizio della madre malamente aveva spesi i suoi danari; ma nel fine l’uno e l’altro rimase contento.

In Piamonte, nel castello di Trino, fu ne’ passati tempi un notaio, uomo discreto ed intelligente, il cui nome era Xenofonte; ed aveva un figliuolo d’anni quindici, chiamato Bertuccio, il qual teneva piuttosto del scempio che del savio. Avenne che Xenofonte s’infermò: e vedendo esser aggiunto al fine della vita sua, fece l’ultimo suo testamento; ed in quello Bertuccio, figliuolo legittimo e naturale, universale erede instituí: con condizione però che egli non potesse avere l’universal amministrazione di beni se non passato il trentesimo anno. Ma ben voleva che venuto all’età di venticinque anni, il potesse mercatantare e negoziare con ducati trecento della sua facoltà. Morto il testatore, e venuto Bertuccio all’età del ventesimoquinto anno, chiese alla madre, che era commessaria, ducati cento. La madre, che negar non gli poteva per esser cosí la intenzione del marito, glie li diede; e pregollo che volesse spenderli bene, e con quelli guadagnare alcuna cosa, acciò che potesse meglio sostentar la casa. Ed egli rispose di far sí, che ella si contenterebbe.

Partitosi Bertuccio ed andatosene al suo viaggio, incontrossi in un masnadiere che aveva ucciso un mercatante: ed