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140 notte decima

un schidone e l’arrostí; ed apparecchiata la mensa, e ingombrata di quelle povere vivande che s’attrovava, cenarono allegramente insieme. Cenato che ebbero, disse l’eremita a Cesarino: — Non molto lungi di qua alberga un dracone, il cui anelito ammorba e avelena ogni cosa, nè è persona, che li possa resistere; ed è di tanta roina, che farà bisogno che i paesani tosto abbandonino il paese. Appresso questo fa mestieri ogni giorno mandargli un corpo umano per suo cibo: altrimenti distruggerebbe il tutto; e per empia e mala fortuna dimani tocca la sorte alla figliuola del re, la quale e di bellezza e di virtú e di costumi avanza ogni altra donzella, nè è cosa in lei, che non sia d’ogni laude degna: e veramente è grandissimo peccato che una tanta donzella senza lei colpa sí crudelmente perisca. — Inteso ch’ebbe Cesarino il parlar dell’eremita, disse: — State di buon animo, padre mio santo, nè dubitate punto, che vedrete della punzella la liberazione presto. —

Nè appena era spuntata fuori l’aurora della mattina, che Cesarino andò là dove dimorava il minaccioso dracone, e seco condusse i tre animali, e vidde la figliuola del re, che già era venuta per esser divorata. Onde appressatosi a lei che dirottamente piangeva, la confortò, e disse: — Non piangete, donna, nè piú vi rammaricate, perciò che io sono qui aggiunto per liberarvi. — E cosí dicendo, ecco con gran empito uscir fuori l’insaziabil dracone; e con la bocca aperta cercava di lacerare e divorare la vaga e delicata giovane, la quale per paura tutta tremava. Allora Cesarino, da pietà commosso, s’inanimò, e spinse li tre animali contra l’affamata e ingorda belva; e tanto combatterono, che finalmente l’atterrarono e uccisero. Indi Cesarino col coltello, che nudo in mano teneva, gli spiccò la lingua, e postala in uno sacco, la riservò con molta diligenza; e senza dir parola alla liberata giovane, si riparti ed all’eremo ritornò, raccontando al padre tutto quello aveva operato. L’eremita, intendendo il drago esser morto, e la giovane e il paese liberato, assai se n’allegrò. Avenne che un contadino rozzo e materiale, valicando per quel luogo dove l’orribil fiera morta giaceva, vide il pauroso