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favola terza 85

puote aprire la bocca ed intendere la causa per che cosí crudelmente lo percotevano. Ma pur tanto fece, che uscí delle lor mani: e via se ne fuggí, pensando tuttavia averli dietro le spalle. Carlo adunque essendo da’ suoi servi senza pettine oltra modo carminato, ed avendo per le dure pugna gli occhi sí lividi e gonfi, che quasi non discerneva, corse verso la piazza gridando e fortemente ramaricandosi de’ servi suoi che l’avevano sí maltrattato. La guardia della piazza, udendo la voce ed il lamento che egli faceva, gli andò all’incontro, e veggendolo sí diforme e col viso tutto impiastracciato, pensò lui esser qualche pazzo. E non essendo da alcuno per Carlo conosciuto, ognuno il cominciò dileggiare e gridare: — Dalli, dalli, che gli è pazzo: — e appresso questo alcuni lo spinghievano, altri gli sputavano nella faccia ed altri prendevano la minuta polve e glie la aventavano ne gli occhi. E cosí in grandissimo spazio di tempo lo tennero, infino a tanto che ’l rumore andò alle orecchie del pretore; il quale, levatosi di letto e fattosi alla finestra che guardava sopra la piazza, dimandò che era intravenuto, che cosí, gran tumulto si faceva. Uno della guardia rispose che era un pazzo che metteva la piazza tutta sotto sopra. Il che intendendo, il pretore comandò che, legato, li fusse menato dinanzi. E cosí fu essequito. Carlo, che per lo adietro era da tutti molto temuto, vedendosi esser legato, schernito e maltrattato, nè sapendo che era isconosciuto, assai di ciò seco si maravigliava. Ed in tanto furore divenne, che quasi ruppe il laccio che legato lo teneva. Essendo adunque Carlo condotto dinanzi al pretore, subito il pretore lo conobbe che egli era Carlo da Arimino: nè puote altro imaginare, salvo che quella lordura e disformitá procedeva per causa di Teodosia, la quale egli sapeva che sommamente amava. Laonde cominciò lusingarlo ed accarezzarlo, promettendogli di punire coloro che di tal vergogna erano stati cagione. Carlo, che ancora non sapeva che egli paresse un etiopo, stava tutto sospeso; ma poscia che chiaramente conobbe lui esser di bruttura tinto, che non uomo ma bestia pareva, pensò quello istesso che ’l pretore imaginato s’aveva. E mosso a sdegno, giurò di tal ingiuria