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favola terza 35

ad un siepe nel cortile, dandole da mangiare; e l’altra legolla con un capestro, e con esso lei al mercato se n’andò. Nè fu sí tosto giunto al mercato, che i tre compagni dell’asino l’ebbero veduto; e accostatisi a lui, dissero: — Ben venga il nostro messere! e che andate voi facendo? volete voi comperare alcuna cosa di bello? — A cui rispose il messere: — Io me ne sono venuto costí per ispendere, perciò che alcuni miei amici verranno a desinare oggi meco. E quando vi fusse a grado di venire ancora voi, mi fareste piacere. — I buoni compagni molto volontieri accettorno lo invito. Pre’ Scarpacifico, fatta la spesa che bisognava, mise tutte quelle robbe comperate sopra il dorso della capra, ed in presenza de’ tre compagni disse alla capra: — Va a casa, e dí alla Nina che lessi questo vitello, e il lombo e li polli arrostisca; e dille che con queste spezie la faccia una buona torta ed alcuno saporetto secondo l’usanza nostra. Hai tu ben inteso? or vattene in pace. — La capra, carica di quelle robbe e lasciata in libertá, si partí; ma ne le cui mani capitasse, non si sa. Ma il prete ed i tre compagni ed alcuni altri suoi amici intorniorono il mercato, e, parendoli l’ora, se n’andarono a casa del prete; ed entrati nella corte, subito i compagni balcorono la capra legata al siepe che l’erbe pasciute ruminava, e credettero che essa fusse quella che ’l prete con le robbe aveva mandata a casa; e molto si maravigliorono. E, entrati tutti insieme in casa, disse pre’ Scarpacifico alla Nina: — Nina, hai tu fatto quello che io ti ho mandato a dire per la capra? — Ed ella accorta ed intendendo quello voleva dire il prete, rispose: —Messer sí; io ho arrostito il lombo ed i polli, e lessata la carne di vitello. Appresso questo, ho fatta la torta e il saporetto con delle spezie per dentro, sí come mi disse la capra. — Sta bene, disse il prete. I tre compagni, vedendo il rosto, il lesso e la torta al fuoco, ed avendo udite le parole della Nina, molto piú che prima si maravigliorono; e tra loro cominciorono pensare sopra della capra, come aver la potessino. Venuta la fine del desinare, ed avendo molto pensato di furar la capra e di gabbare il prete, e vedendo non poterne riuscire, dissero: — Messere, noi