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144 notte terza

tanti furono da lui valorosamente abbattuti. Stavasi la damigella tutta allegra, e con ammirazione grandissima intensamente il riguardava, e tra se stessa ringraziava Iddio che della servitú del Saracino l’aveva deliberata; e pregava Iddio li desse la vittoriosa palma.

Giunta la notte, e chiamata Doralice a cena, non gli vi volse andare; ma fattisi portare certi delicati cibi e preziosi vini, finse non aver allora appetito di mangiare: ma facendole bisogno, al tardo sola mangerebbe. E chiusasi sola in camera, ed aperta la finestra, lo affezionato amante con sommo desiderio aspettò; e ritornatosi come la notte precedente, ambeduo insieme lietamente cenorono. Dappoi Fortunio l’addimandò come dimane vestire si dovesse, ed ella a lui: — Di raso verde, tutto di argento ed oro finissimo ricamato: ed altressí il cavallo. — Ed il tutto fu tostamente la mattina essequito. Appresentatosi adunque in piazza, il giovanetto all’ordinato termine del torniamento entrò; e se il giorno avanti il suo gran valore aveva dimostrato, nel sequente vie piú quello dimostrò. E la delicata donzella giustamente esser sua ognuno ad alta voce affirmava.

Venuta la sera, la damigella, tra sè tutta gioconda, tutta giocosa ed allegra, finse quello istesso che nella precedente notte simulato aveva. E chiusasi in camera, ed aperta la finestra, il valoroso giovane aspettò; e con esso lui agiatamente cenò. Ed addimandatala da capo di che vestimento nel sequente giorno addobbar si dovesse, li rispose: — Di raso cremesino, tutto ricamato di oro, e di perle; ed altresí la sopraveste del cavallo sará in tal guisa guarnita, perciò che in tal maniera sarò ancor io vestita. — Donna, — disse Fortunio, — se dimane per aventura io fussi alquanto piú tardo dell’usato nel venire in giostra, non ve ne maravigliate; perciò che non senza causa tarderò la venuta mia. —

Venuto il terzo giorno e l’ora del giostrare, tutto il popolo il termine del glorioso triunfo con grandissima allegrezza aspettava; ma niuno dei giostranti, per la smisurata fortezza del prode cavaliere incognito, ardiva di comparere. E la dimoranza