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favola quarta 143

amenduo la vita. Doralice, mentre Fortunio diceva tai parole, piangeva e si ramaricava molto; nè poteva in maniera alcuna patire il paventoso assalto. Ma Fortunio, vedendo il perturbato animo della donna, con dolcissime parole, che arrebbeno spezzato un monte, tanto disse e tanto fece, che addolcí l’ostinata voglia della donna; la quale, vinta dalla leggiadria del giovane, con esso lui si pacificò. E vedendo il giovane di bellissimo aspetto, robusto e delle membra sue ben formato, e ripensando tra se stessa alla bruttura del Saracino, molto si doleva che egli dovesse della giostra esser vincitore e parimente della sua persona possessore. E mentre che ella seco ragionava, le disse il giovane: — Damigella, s’io avesse il modo, volentieri giostrerei; e dammi il cuore che della giostra sarei vincitore. — A cui rispose la donzella: — Quando cosí fusse, niun altro che voi sarebbe della persona mia signore. — E vedendolo tutto caldo e ben disposto a tal impresa, di danari e di gioie infinite l’accomodò. Il giovane, allegramente presi i danari e le gioie, addimandolla qual abito piú le sarebbe a grado che egli si vestisse. A cui rispose: — Di raso bianco. — E sí come ella divisò, cosí egli fece.

Fortunio adunque il giorno seguente, guarnito di rilucenti arme coperte di una sopraveste di raso bianco, di finissimo oro e sottilissimi intagli ricamata, montò sopra un possente ed animoso cavallo coperto di colore del cavaliere; e senza esser da alcun conosciuto, in piazza se ne gí. Il popolo, giá raunato al famoso spettacolo, veduto il prode cavaliere isconosciuto con la lancia in mano per giostrare, non senza gran maraviglia e come smemorato incominciò fiso a riguardarlo; e ciascuno diceva: — Deh, chi è costui che sí leggiadro e sí pomposo si rappresenta in giostra, e non si conosce? — Fortunio, nell’ordinata sbarra entrato, al suo rivale fece motto che entrasse; ed amenduo, abbassate le nodose lancie, come scatenati leoni si scontrorono: e cosí grave fu del giovanetto il colpo nella testa, che il Saracino toccò del cavallo le groppe, e non altrimenti che un vetro battuto ad un muro, nella nuda terra morto rimase. E quanti quel giorno in giostra ne incontrò,