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favola seconda 125

letizia diede. La quale, poscia che ebbe ricevuto il vital liquore, fu dal Soldano ne gli amorosi piaceri sollecitata molto. Ma ella, costante come forte torre da impetuosi venti conquassata, non vi volse in maniera alcuna consentire, se prima a Livoretto, cagionevole di sí fatta vergogna, con le propie mani la testa dal busto non gli spiccava. Il Soldano, inteso il fiero proponimento della cruda damigella, in modo alcuno compiacere non le voleva; perciò che li pareva sconvenevole molto che in premio delle sue tante fatiche il giovane crudelmente decapitato fusse. Ma la perfida e scelerata donna, perseverando nel suo mal volere, prese un coltello ignudo: e con intrepido e viril animo, in presenza del Soldano, il giovane ferí nella gola; e non essendovi alcuno che avesse ardire di prestargli aiuto, in terra morto cadde. Non contenta di questo, la malvagia damigella gli spiccò il capo dal busto: e minuzzate le sue carni, e fratti li nervi, e rotte le dure ossa e fatte come minuta polvere, prese una conca di rame non picciola, e a poco a poco dentro vi gettò la trita e minuzzata carne: componendola insieme con l’ossa e i nervi, non altrimenti che sogliono fare le donne un pastone di fermentata pasta. Impastata che fu la minuzzata carne, e ben unita con le trite ossa e i nervi, la donna fece una imagine molto superba, e quella con l’ampolla dell’acqua della vita spruzzò; e incontanente il giovane, da morte a vita risuscitato, piú bello e piú leggiadro che prima divenne.

Il Soldano, giá invecchiato, veduta la maravigliosa prova e lo miracolo grande, tutto attonito e stupefatto rimase; e desideroso molto di ringiovenirsi, pregò la damigella che sí come ella fatto aveva al giovane, cosí ancora a lui far dovesse. La damigella, non molto lenta ad ubidire il comandamento del Soldano, prese l’acuto coltello che del giovenil sangue era bagnato ancora: e postali la mano sinistra sopra il cavezzo, e quello forte tenendo, nel petto un mortal colpo li diede; indi gettollo giú d’una finestra dentro una fossa delle profonde mura del palazzo, e in vece di ringiovenirlo come il giovanetto, lo fece cibo de’ cani: e cosí il misero vecchio finí la