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NOTTE TERZA.

Giá la sorella del sole, potente nel cielo nelle selve e ne gli oscuri abissi, con scema ritonditá teneva mezzo il cielo: e giá l’occidente orizzonte aveva coperto il carro di Febo, e le erratiche stelle d’ogni parte fiammeggiare si vedevano: e li vaghi augelli, lasciati i soavissimi lor canti ed il tra loro guerreggiare, ne’ suoi cari nidi sopra i verdi rami chetamente si riposavano, quando le donne e parimente i gioveni la terza sera nel luogo usato si raunorono al favoleggiare. Ed essendo tutti secondo i lor ordini postisi a sedere, la signora Lucrezia comandò che il vaso, come prima, portato fusse; e messevi dentro il nome di cinque damigelle, le quali in quella sera, secondo che le fusse dato per sorte, avessero l’una dopo l’altra ordinatamente a favoleggiare. La prima adunque che uscí dal vaso, fu Cateruzza; la seconda, Arianna; la terza, Lauretta; la quarta, Alteria; la quinta, Eritrea. Indi la signora comandò che ’l Trivigiano il liuto prendesse e ’l Molino la viola, e tutti gli altri carolassino, menando il Bembo la carola. Finito il ballo e posto silenzio alla dolce lira, e chetate le sante corde del concavo liuto, la signora a Lauretta impose che una canzonetta cantasse. La quale, desiderosa di ubidire e sodisfare alla sua signora, prese per mano le altre compagne; ed unitesi assieme e fatta la debita riverenza, con chiare e sonore voci cantorono la seguente canzone.

     Signor, mentre ch’io miro nel bel viso,
nel qual mi regge amore,