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mare nel paese i fondi stranieri, di associare la mediocrità stessa, e quasi la povertà agli avvantaggi delle grandi speculazioni, di aumentare il credito pubblico e la massa circolante in commercio, procurare un mezzo d’investita a quelli che amano di prendere interesse in un’impresa, senza esporsi ad una responsabilità infinita.
Ma d’altra parte, e l’interesse dei terzi e quello stesso degli azionisti, che potrebbero essere ingannati da progettisti avventurieri, hanno consigliato in quasi tutti i paesi di non permettere, che siano formate tali società se non che con autorizzazione del sovrano.
Perciò il codice di commercio del cessato regno d’Italia tutt’ora vigente prescrive: Che la società anonima non può esistere che coll’autorizzazione del governo (intendendo per governo il supremo potere), e sua approvazione dell’atto che la costituisce; che non possono essere formate che per mezzo di atti pubblici ossia notarili; che nessuna prova testimoniale potrà essere ammessa contro od oltre il contenuto negli atti di società, nè su di ciò che si allegasse come detto prima, nel momento, o dopo dell’atto; e che l’atto del governo che autorizza le società anonime, dovrà essere affisso in un coll’atto di associazione, o siano statuti, nella sala delle udienze dei tribunali mercantili, dove sono le case di commercio, sotto pena di nullità.
Perciò la petizione al sovrano onde ottenere il permesso di proporre una società anonima dev’essere sottoscritta da quelli che intendono di proporla, ossia dai fondatori di essa.
Spetta pure ad essi di proporre i patti o statuti al governo per ottenere appunto il permesso di fondare la società col mezzo di azioni secondo que’ patti.
In questo modo ogni lagno è dalla legge saviamente troncato, fissando il momento ed il modo dell’impegno respettivo.
A torto si lagnerebbero i proponenti, o siano fondatori della società per azioni, se chi mostrò caldo desiderio di farsi azionista, prima ancora di conoscerne i patti, al momento poi che gli vengono fatti conoscere si raffreddasse e volesse ritirarsi, mentre altri si affretterebbe ad occupare il suo posto, se i patti sono lodevoli: e viceversa a torto pretenderebbe l’azionista cui non piacessero i patti, di volerli cangiare accampando fors’anche di aver udito dire diversamente, e pretendendo così di cogliere come in flagranti ogni pensiero, ogni detto, dicasi pure ogni scritto come se fosse un contratto irrevocabile; mentre ciò non appartiene che alla sfera delle opinioni o delle trattative tra i fondatori, sempre variabili di loro natura, o per migliore consiglio, o per forza di circostanze, fino a che fermati definitivamente tra essi fondatori i patti da proporsi agli azionisti, li fanno conoscere a questi ed al governo.
La censura non sarebbe neppur praticabile. Non si potrebbe infatti rendere soggetto di votazione il cangiamento dei patti. Non v’è maggiorità che possa obbligare i dissenzienti ad essere socii a un tal patto, piuttosto che ad un altro; poichè nessuno può essere socio per forza. Questi sono i principii delle società anonime; giova sempre aver presenti i principii. Veniamo ora al racconto de’ fatti nostri.
I primi progettisti di questa impresa furono due persone, certo benemerite, di aver data la prima spinta ad un’opera di tanta utilità.
Il sig. Sebastiano Wagner, poi mancato a’ vivi, ed il sig. Francesco Varè produssero un indirizzo nel settembre 1835 alla nostra Camera di commercio pregan-