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Tali erano i pensieri che lo preoccupavano, quando in una bella mattinata d’autunno, Grazia, uscendo di casa lo scorse appoggiato alla sbarra del giardino.
— A che pensate voi in sì bel giorno, caro fratello? disse la giovinetta correndo verso di lui.
Il giovane si volse e considerò che un sorriso la gioja che brillava sul volto di sua sorella.
― Che voi siete felice, Grazia! rispose egli.
― Senza dubbio io sono felice, e voi pure lo dovreste essere, chè siete migliore di me.
Io sono felice, Grazia, vale a dire che spero di esserlo.
― Voi soffrite, lo so che voi soffrite. Oh! se il vostro cuore potesse battere come il mio!
― La mia salute è sfinita, cara Grazia, e sento che non la ricupererò giammai.
― Giorgio, caro Giorgio, non parlate così; oh! giammai! voi dilaniate il nostro cuore, aggiunse ella colle lagrime agli occhi.
― Avete ragione mia sorella; non è che io mi preoccupi personalmente di questo pensiero. Sarà la stessa cosa nel cielo.
Una settimana appresso, un raffreddore lo fece passare dello stato di debolezza allo stato di malattia. I progressi del male erano rapidi, ma ingegnosa nell’ingannarsi mamma Sally, come fanno i cuori teneri ed affezionati s’abusava sulla natura del male e l’imminenza del pericolo. “Andrà meglio„, diceva essa tutti i giorni. Dal suo canto papà Tim negava l’evidenza con tutta l’ostinazione del suo carattere. Quanto al malato, egli non s’ingannava nella sua situazione, ma non si