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gnore assai eleganti) le condusse innanzi l’uscio della cucina ed apertala, disse, additandomi graziosamente alle signore che chiedevano di me: “Eccola!„
Quelle signore abitavan la città vicina, ed erano le prime che fossero venute a farci visita. L’introduzione di Kotterin non mi parve perfettamente d’accordo colla loro cortesia. La loro presenza fece su di me l’effetto che avrebbe prodotto la testa di Medusa. Al loro grazioso inchino risposi macchinalmente scuotendo lo spiedo che teneva ancora fra le mani mentre la povera Tibbins, confusa più di me, tossiva, soffiava, prendeva tabacco, e guardavasi d’attorno cogli occhi fissi dell’ebete. Uscì alla fine dallo stupore, cavandosi di tasca il vecchio fazzoletto per asciugarsi in volto. Fu quello il colpo di grazia. La discrezione di quelle signore era al colmo.
Uno scoppio di risa stava per salutare la nostra pantomima, quando io ricuperai, proprio a tempo, abbastanza sangue freddo per presentar loro le mie scuse, e condurle nelle sale di ricevimento.
Dal fin qui detto, si può fare un’idea delle quattro mortali settimane che passai co’ miei ausiliari. In quel frattempo io faceva, con maggior pena, quasi altrettanto lavoro come quando non aveva alcuno, ed ogni cosa andava di traverso. Era così che i nostri giovani si lamentavano de’ loro collari male amidati, e di striscie nere come il carbone che variegavano lo sparato delle loro camicie. Accade pure, nella più nefasta di tutte quelle quattro settimane, tutti i fazzoletti da tasca erano incollati così fortemente, che le tasche sembravano imbottite di carta grigia.