noi, e due cognati che avevano un interesse nelle nostre faccende. Per non diffondermi in particolari sorpasso ai due o tre primi giorni che si passarono a ficcar chiodi nel muro, ad aprire le nostre valigie, le casse d’ogni dimensione e larghezza, a rompere stoviglie, a scernere vetri e cristalli dagli utensili di cucina, a sbarazzare in fine un caos di oggetti eterogenei, frammisti e confusi insieme in modo da indurre quasi in noi l’impossibilità di poter restituir a ciascuno di loro la propria individualità separata e distinta. Sono tali i prolegomeni necessarii all’imprendere il governo d’una casa. Come d’ordinario, il tappeto vien cucito disteso, e posto in opera; mille cose sono riformate, trasformate e difformate, finchè ne nasca almeno un’apparenza d’ordine. Ma ora prendiamo a trattare il punto principale. Ne’ primi giorni di quella confusione, abbiamo apparecchiati e presi i nostri passi alla rinfusa ed in modo affatto pastorale, ora sul coperchio d’una botte, ora su di un’asse attraverso a due sedie; bevendo chi nelle sottocoppe, chi nella salziera, chi in vasi od in recipienti abbastanza grandi da annegarvisi. Quanto al dormire ci stendevamo sopra sofà, matterazzi posti attraverso le stanze, dove v’aveva luogo per collocarli. Ma alla fine tutte quelle barbarie avevano finito; la casa ripigliava un’aria ordinata. Tondi e vasellame eran collocate al loro posto. Tre pasti regolari dovevano essere serviti ciascun dì nella forma regolare e civilizzata de’ giorni nostri. Si assestavano letti, si pulivano e scopavano le camere, si levava la polvere dai mobili. Il vassellame era terso, i coltelli puliti, ecc. Ma, come dice madama Trollope, ci era