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Questo stato di cose doveva, lo confesso, preparare al mio spirito una base solida e seria. Sia ch’io fossi nato sotto stella maligna, sia che un maleficio fosse stato gittato sulla mia culla, egli è certo che fino dai primi giorni di mia esistenza fui una specie di Cenerentola, un essere venuto molto male a proposito, e che non poteva riuscire a nulla.

Chi mai aveva lasciata socchiusa la porta, quando faceva freddo? — Enrico. Chi rovesciava a colazione la tazza del caffè, od a tavola il bicchiero, la saliera, o la senape, al solo muoversi col gomito? — Enrico. Chi rompeva tutti i tondi della casa? — Enrico. Chi ingarbugliava la seta od il cotone della mamma? chi lacerava il giornale al papà? Chi gittava a terra la coperta, od i ferri rilucenti di cui si serviva per stirare la vecchia Zebo? — Enrico. In tutto questo non eravi certo in me un cattivo istinto: poichè io posso dichiararlo altamente, era il miglior ragazzo al mondo. Ma fra di me e tutto ciò che m’era dattorno esisteva una certa attrazione di coesione o di gravità. Di qualunque maniera mi studiassi, gli oggetti dovevano di necessità essere rovesciati, rotti, in pezzi, o guastati, per poco ch’io loro mi avvicinassi.

Le mie sbadataggini parevano in ragione diretta delle cure ch’io mi studiava di mostrare. Eravi alcuno in casa che aveva male alla testa, od un’irritazione nervosa da esigere un profondo silenzio per certo era mio desiderio sincerissimo di non far subisso; ma io potevo star sicuro che al solo traversar una stanza sulla punta de’ piedi colpiva in una sedia, od imprimeva un urto nella paletta del camino, e questa alla