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728 | libro sesto |
di lui fuorchè ciò che s’accorda colla giustizia, e non concedono valor di legge all’impulso momentaneo d’una passione. Costoro in ogni più legittima rimostranza travedono un principio di sedizione; interpretano a loro modo i discorsi, interpretano il silenzio; dalle amicizie, e ciò che è più strano, dai parentadi, traggono talvolta materia d’accuse; a un principe di poco giudizio persuadono che la stampa fu un’invenzione diabolica, che le lettere e le scienze covano macchine fatali ai regnatori, e si fanno apostoli dell’ignoranza: a un principe debole empiono il capo di paure, il cuor di sospetti, e facendolo temere lo fanno per necessaria conseguenza incrudelire, e mentre si danno l’aria d’essere i più saldi sostegni del trono, quelli sono invece che ne picchiano, e ne addentano con maggiore stoltezza e pertinacia la base: imperocchè la paura fa i tiranni, e la tirannia le rivoluzioni.
A’ 7 di settembre del 1706, dopo la sconfìtta dei Francesi e la liberazion di Torino, v’ebbe nel palazzo Graneri, dove abitava il vecchio generale Daun, una suntuosissima cena, a cui intervennero Vittorio Amedeo ii, il gran principe Eugenio, i principi di Saxe-Gotha e d’Anhalt, e gli altri principali dell’esercito Austro-Sardo.
Nella seconda isola a destra, dietro al palazzo del principe di Carignano, sorge ora, per munificenza del re Carlo Alberto, il nuovo Collegio