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capo settimo | 727 |
doveri; e non ostanti i replicati comandi del Re, pronunziò sentenza assolutoria.
Grandissima alterazione ne pigliò Vittorio Amedeo; che rilegò il presidente Graneri alla sua villa di Carpenetto, e sospese d’ufficio i senatori. A chi l’informava dello sdegno del Re, e della severità di cui intendeva far prova, rispose con gran dignità il Presidente: « Ch’egli aveva tutto il rincrescimento di vedere che S. M. si mostrava risentita per la sentenza renduta; ma che il suo maggior dolore consisteva nel conoscere che il Senato avea ragione, e che non potea dipartirsi dal suo sentimento senza lesione dell’onore e della coscienza. »2 Questo è veramente il caso di dire che chi resiste sostiene.
Ma per quanto fosse Vittorio Amedeo, come tutti i principi guerrieri, conquistatori, e riformatori, usato a non sopportar contrasti, la maggior colpa di tale errore noi crediamo doversi ascrivere a quei ministri cortigiani, che per rendersi necessarii al principe usano d’adularne le passioni, e invece di temperare con rispettosi consigli le ire tanto pericolose di chi può ciò che vuole, e indugiar l’esecuzione de’ partiti violenti, e dar tempo al tempo, usano all’incontro inasprirne la fierezza, armarne di più velenose punte gli sdegni. Costoro si studiano di render sospetti tutti quelli, che, zelanti della vera gloria del principe, non considerano come volontà.