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618 | libro quinto |
come d’uomini che professavano il sacrilego ed impossibil mestiere di gabbadio, dubitava molto il buon padre, e procurava ad ogni potere di spedirsene.
Abbiamo già indicata la morte di quest’insigne Filippino seguita sul pulpito di San Giovanni.
Eccone ora i particolari. Già nel giorno precedente e nella mattina del giorno medesimo avea egli detto parole che, se non dinotavano espressamente la sua morte, accennavano almeno che qualche caso straordinario segnalerebbe quel giorno, anniversario di quello in cui era stato laureato ed avea ricevuto l’ordine del sacerdozio. Lunedì 8 febbraio 1751, alle ore quattro pomeridiane salì tutto lieto nella carrozza che gli avea mandato l’arcivescovo, e disse ai circostanti con quel suo piglio faceto che gli era famigliare: Guardate come la sposa va bene in carrozza. Giunto alla Metropolitana, dov’era parte della Real Corte coll’arcivescovo, pigliò la benedizione dal prelato, e salì sul pulpito. Proposto il testo di S. Paolo opportunissimo per l’apertura del giubileo: Adeamus cum fiducia ad thronum gratiae ut misericordiam consequamur, parlò proemizzando della misericordia di Dio con tanto impeto di carità, che egli stesso piangeva e piangevano gli uditori. Finito l’esordio, fatta la divisione dell’argomento, cominciò la prima parte colle parole: Variis et miris modis vocat nos Deus, che pronunziò con voce sì forte, che furono udite da tutti gli angoli del vasto edifìzio;