polente a mutarne la natura ed a farne un esempio
di ravvedimento e di grazia, come quasi sempre succede.
Nella cappella sta il sindaco della Misericordia,
capo del confortatorio, cogli altri misericordiosi. Fuori
della cappella e della vista del condannalo i soldati
di giustizia che lo custodiscono. La sentenza gli si
legge d’ordinario alle undici di mattina: non prima
della stessa ora del giorno seguente dee ricevere la
sua esecuzione. Sono ventiquattro ore che gli si lasciano
onde provveda alla salute dell’anima sua. Noto
quello che accade d’ordinario e che so per sicura
relazione di confratelli più forti di me nella esemplare
e meritoria loro pietà. Nelle prime ore o scorgesi
una morale prostrazione, un totale abbattimento,
o la concitazione degli affetti più violenti, più rabbiosi,
più disperati; e certe volte l’uno stato succede
all’altro. Ma venuta meno la luce odiata di quel
giorno che fu apportatore di sì funesta novella, torna
un po’ di calma e da luogo a migliori consigli. Allora
più non si rifiuta la confessione, e raro è il caso in
cui s’indugi fino a notte inoltrata. Passa il condannalo
una parte della notte in preghiere, e poi gusta
qualche ora di sonno inquieto; all’alba del nuovo
giorno sente la messa che si celebra nella vicina cappella
e riceve il pane degli angioli, che in altri paesi,
con soverchia durezza, si ricusa ai condannali. Divote
orazioni, pii affetti vannosi alternando fino all’ora
fatale, giunta la quale l’esecutore fa domandare al