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556 | libro quinto |
alle carceri, dove le veniva consegnato il reo. La compagnia lo vestiva d’un abito di zendado rosso, lo coronava di lauro, gli poneva in mano un ramoscello d’ulivo in segno di vittoria e pace; e quindi, postolo in mezzo al priore ed al sottopriore, lo accompagnava al suono di festivi stromenti, e cantando il Te Deum, al Duomo, donde riconducevalo alla chiesa di San Dalmazzo, nella quale si cantava una messa coll’applicazione del sacrifizio per la Real Casa di Savoia. Finita la messa, il reo se ne partiva dopo d’aver offerto l’elemosina convenuta, e trovavasi restituito nella libertà, ne’ beni, nell’onore e nella fama antica,6 seppure alcuna persona al mondo può rendere l’onore e la fama una volta perduta; se pure l’opinione pubblica si può cambiare con un rescritto. È noto che Benvenuto Cellini trovò in Roma la stessa via di salvarsi dalla pena incorsa per un omicidio; e lo narra ei medesimo in quella sua vita, che sarà un perpetuo e sicuro modello di lingua e di stile per l’aurea sua scioltezza e semplicità, e che raccomando singolarmente ai giovani, perchè serve di correttivo a quella tendenza che la foga dell’imaginazione induce allo stile gonfio e ridondante, uno dei soliti peccati dell’età più verde.
La sublime missione di carità che esercita questa Compagnia, ed il modo con cui costantemente l’esercitò, invitarono in ogni tempo uomini distinti per nascita, per uffizi, per ingegno a farvisi aggregare.