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528 | libro quarto |
ogni cosa presieda la carila, e l’ospizio non si muti in prigione.
In quanto ai mendicanti validi, sono essi in islato permanente di rivolta verso la società; essi vogliono godere de’ benefizii sociali, senza sentirne i pesi; ciò che strappano di mano ai benefattori, che non hanno tempo o modo di considerare a cui son corlesi, è vera truffa. Contro questi tali dagli imperatori romani fino a noi, la società si è armata di qualche rigore per costringerli a lavorare. E ciò ha fatto e fa giustamente; e non è che per fallacia d’argomentazioni, per confusione de’ poveri validi, coi veri poveri; dei poveri per mestiere, coi poveri per necessità; dell’obbligo d’amare e di nudrire i poveri, con quello d’alimentar l’ozio e la mendicità; che taluno si sforza d’arrivare a conclusioni contrarie, immemore di quello che scrive S. Paolo ai Tessalonicensi: «Imu perocché voi sapete, scrive il grande Apostolo, in qual modo vi convenga imitar noi: i quali non siamo stati in mezzo a voi d’alcun disturbo; nè abbiam mangiato oziosamente il pane d’alcuna persona; ma sì lavorando, e faticando giorno e notte onde non esser d’aggravio a nissuno: e quando eravamo in mezzo a voi, sempre v’abbiam protestato: che chi non vuol lavorare non mangi (Hoc denunciabamus vobis: quoniam si quis non vult operavi, nec manducet).»
Diffatto, i nostri vecchi si pensarono di obbedire