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capo sesto 451


Il Murtola correa pericolo della forca se lo stesso Marini non si fosse reso intercessore per quello sciagurato, il quale recossi poscia a Roma dove fu adoperato in varii governi; forse perchè all’eia ferrigna non ripugnavano uomini capaci di spedienti risoluti e terminativi.

Si consolava il Marini d’aver fuggita la morte, cantando:


Pensò forse il fellon quando m’offese
Per atto tal di migliorar ventura,
E con la voce del ferrato arnese
D’acquistar grido appo V età ventura.
Sperò col lampo che la polve accese
Di rischiarar la sua memoria oscura,
E fatto dalla rabbia audace e forte,

Si volse immortalar con la mia morte.


Ma col Murtola non s’erano allontanati da Torino tutti i nemici del poeta. Altezza d’ingegno, e liberta di favella bastavano a procacciargliene un nugolo in qualsivoglia corte, anche la meglio ordinata; e tanto più da temersi in quantochè occulti ed usi a saettar nelle tenebre. Marini avea composto a Napoli nella sua prima giovinezza, e prima quasi che cominciasse a risuonargli all’orecchio il nome di Carlo Emmanuele, un poema satirico intitolato la Cuccagna, in cui trafiggeva coll’usata mordacità i vizi veri o supposti dei grandi che avean maneggio d’affari o