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430 | libro terzo |
copia del medesimo Ietta in Senato, ommesse molle particolarità in seguito ad un ordine di Madama Reale; infine del supplizio segreto; quasichè tutto ciò si fosse fatto, se non con espresso fine, almeno coll’effetto d’aggravar la loro riputazione; massimamente che si era passato oltre alla condanna del monaco, senza averne facoltà dalla S. Sede, la quale persuasa (sebbene a torto) che fosser calunnie indirizzale a ferir l’onore de’ principi, non avea mai voluto autorizzare il relativo procedimento. Madama Reale quietò con buone parole i principi, e li assicurò solennemente, che ombra di sospetto non era passala in capo a lei, nò al duca, rispetto all’illibatezza della loro fede. Nella copia poi del processo non s’erano ommessi che quei capi nei quali gli accusati i testimonii riferivano parole e giudizi che offendevano la riputazione della duchessa.
La medesima superstizione delle statue di cera, battezzate col nome d’alcuno, e poi trafitte per uccidere il personaggio che vi si rappresentava, condusse nel 1710 al patibolo Giovanni Antonio Bocalaro di Caselle. Questi si trovava in carcere come sospetto d’omicidio, e sperava, quando venisse a morte Vittorio Amedeo ii, un indulto che gli aprisse le porte della prigione. Queste invece gli furon dischiuse il 30 di gennaio di quell’ anno per condurlo all’udienza del Senato, sedente in toga rossa, ove domandò, con una torcia in mano, perdono a Dio, al