che da tal confessione, non deriverebbe ad esso
Castiglioni il menomo danno, rendendosene egli medesimo
mallevadore. Il Castiglioni vinto dalle sue
lusinghe così fece. Falsi testimonii compri dal Pasero
ne corroborarono i detti. Il povero presidente era
in Torino a letto travagliato da dolorosa podagra,
quando vide entrar nella camera i soldati di giustizia,
che ravvoltolo nelle sue coperte lo portarono
pubblicamente a braccia nel castello e lo serrarono
nella torre. Assai tempo vi giacque quella vittima
della più nera macchinazione, finchè chiamata la
causa, difeso da Ludovico Tesauro, riportò per sentenza
del Senato compiuta vittoria, onde fu dal duca
restituito con lettere patenti agli antichi onori ed
al governo di Savigliano. Mentre col calunniato erasi
proceduto con tanto rigore, col calunniatore s’adoprarono
termini di gran riguardo. Andava dicendo
il Pasero: ch’egli era scrittore di quel valore che
tutti sapeano; che aveva in petto i più gelosi arcani
dello Stato; che potea dare colle sue storie
nobile e perpetua fama a’ suoi signori. Come se potesse
essere storico uno che mancò sì bruttamente
di fede: come se avesse qualche virtù una penna
contaminata nell’orditura d’un libello; come se
il principe potesse far caso d’una lode che non
sorga spontanea dai fatti, che non sia data da
chi dispensa con uguale bilancia anche la giusta