Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
418 | libro terzo |
carattere, e lo pubblicò di nottetempo. La mattina quando fu conosciuto, sollevò a grande indegnazione tutti que’ patrizi, che venuti a furia a Torino, esposta la cosa al Pasero, lo costituirono loro procuratore a sollecitare contro all’ignoto autore i rigori della giustizia. E da notarsi che fra gli offesi, per meglio celare il gioco, era anche Pasero. Questi, andato dal duca, gli disse che come cristiano perdonava ai suoi offensori, ma che come ministro era obbligato di consigliare pronta giustizia e sommi rigori, essendo lesa la maestà del principe e la pubblica quiete, non che l’onore di tante principali famiglie. Il duca delegò il primo presidente Antonio Bellone ad istruire il procedimento. Il Pasero instava per la nobiltà di Savigliano.
De’ primi chiamati ad esame fu il Castiglioni, il quale disse che il libello era verosimilmente dettato da don Emmanuele Tesauro, a giudicarne dallo stile, e così disse perchè il Tesauro era amicissimo del presidente Ruffino. Ma il giudice era sagace; paragonate le scritture e lo stile, trovò che a Valeriano Castiglioni, anzichè al Tesauro potevasi con fondamento attribuire.
Castiglioni vedendosi a mal partito si consigliò di nuovo con Pasero, il quale lo esortò a confessare d’esserne l’autore, soggiungendo che l’avea scritto per ordine del presidente Ruffino, e sforzato dalla paura. Giurò il Pasero, ponendosi la mano sopra la croce,