Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
capo terzo | 351 |
alcuno di tali uomini sollevarsi ad un tratto e sfolgoreggiare, credono di trasognare e di veder miracoli; e sono per verità miracoli di perseveranza, di sobrietà, di sopportazione. Io conobbi dimesticamente uno di quei montanini, che mi fu maestro e poi amico, il quale visse con nome onorato, e raglino una cospicua sostanza; e so da lui, che venuto in giovane età a Torino, visse egli ed un suo compagno molti anni in una soffitta, senza telaio alla finestra, innanzi alla quale, per ripararsi dall’aria, stendeano di notte il proprio abito. Dormivano su poca paglia per terra, avendo solo una povera coltre con cui si coprivano. Mangiavano il pane di nera segala che ogni settimana i genitori loro mandavan da casa, e beati quando nelle maggiori feste dell’anno loro s’aggiungeva il regalo d’un po’ di cacio. Non gustavano mai vino; e qualche ripetizione fatta agli altri scolari meno attenti, loro dava mezzo di radunare que’ pochi soldi de’ quali, sul cader del secolo scorso, si contentava un padrone di casa per una soffitta aperta a tutte le vicende atmosferiche.
Da tali principii crebbe un uomo che, oltre al ristorare la propria famiglia, ebbe modo di alzare una chiesa, e di fondar una scuola a prò della sua patria. Chi ha il coraggio di restringersi al puro necessario è sempre ricco.
I medesimi documenti doveano avere i fratelli