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capo secondo | 319 |
grazia del principe, monsù di Druent fabbricò il nobile palazzo di cui parliamo con uno scalone di un gitto arditissimo; ed invitò tutte le arti a decorarlo.
Fin dal 1695 vi dipingeva i quattro elementi Francesco Trevisani, pittore di molto nome, il quale sapea imitar lo stile di qualsivoglia scuola, ma riusciva meglio nel delicato che nel robusto. Vi dipinse una Giunone, Bonaventura Lamberti da Carpi, scuoiare del Cignani; operarono al piano terreno Antonio Maria Hafner, bolognese, della congregazione dell’Oratorio, il quale si segnalò per la soavità delle tinte, e molto dipinse a Genova e nelle riviere; e Stefano Maria Legnani. Lavorò a fresco ne’ gabinetti, Giovanni Battista Pozzo, milanese, del quale vedevasi una lodata pittura in San Cristoforo di Vercelli. Altri pittori di men chiaro nome concorrevano ad ingentilire il nobile edificio: Angelo Golzio, Giuseppe Mossino, Antonio Maro.
Oltre a ciò, monsù di Druent fece venir tavole pregiate da Ferrara e da Bologna; da Piacenza gli fu recato un Ercole che strozza il serpente, del cavaliere Giovanni Droghi, genovese, scuoiare, ma non imitatore di Domenico Piola. Le porte furono intagliate da Marc’Antonio Berulto; gli stucchi della facciata sono di Domenico Maria Violino; ai quali il conte Alfieri adattò poi la gradazion delle tinte nel 1743.1