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292 | libro terzo |
racconta essersi miracolosamente e per divina rivelazione trovata da un cieco chiamato Ravadio o Ravachio di Brianzone, tra le rovine d’un’antica cappella, nella quale S. Massimo, vescovo di Torino, Tavea proposta alla venerazion dei fedeli.
Già ne’ primi anni dei secolo xiv si prova storicamente essere quella diva imagine salita in tal fama che innanzi alla medesima accorrevano principi e popoli divotamente pellegrinando.
Questa chiesa esisteva fin dal secolo x lungo il muro della porta Comitale o Palatina nel sito che occupa adesso all’angolo nord-ovest della città. Adalberto, marchese e conte di Torino e d’Ivrea, padre del re Berengario n, ceppo della Casa Real di Savoia, ne fece dono ai monaci fuggiti dalla Novalesa per paura de’ Saracini, e ricoverati presso alla chiesa de’ Santi Andrea e Clemente innanzi al castello di porta Susina. L’abate Bellegrimmo vi trasferì i suoi religiosi anche perchè nella casa che prima occupavono pativano troppo disturbo per concorso di popolo e per impaccio di secolari faccende. Sul finir del secolo il monaco Bruningo, architetto egregio, rifece più ampia e maestosa la chiesa di Sant’Andrea, talché il cronista novaliciense la chiamava più bella d’ogni altra (praestantior cunctis); imperocché, soggiunge, cinta di nobili famiglie, in capo alla città, fa una gran mostra di sè.1
Adalberto diede ancora ai monaci una torre